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A Cortina arriva la Starlight Room https://www.design-miss.com/cortina-arriva-la-starlight-room/ Una stanza di vetro sotto il cielo delle #Dolomiti
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Trilogia di New York
Scheda informativa
Titolo completo: Trilogia di New York: Città di Vetro, Fantasmi, La Stanza Chiusa
Titolo originale: The New York Trilogy: City of Glass, Ghosts, The Locked Room
Autore: Paul Auster
Editore: Einaudi
Prima edizione: Supercoralli 1996
Pagine: 314
Prezzo: € 12,50
Trama
In una città stravolta e allucinata, in cui ogni cosa si confonde e chiunque è sostituibile, i protagonisti di queste storie conducono ciascuno a un'inchiesta misteriosa e dall'esito imprevedibile. Tutto può cominciare con una telefonata nel cuore della notte, come nel caso di Daniel Quinn (Città di Vetro), autore di romanzi polizieschi che accetta la sfida che gli si presenta e si cala nei panni di uno sconosciuto detective. Ma può anche capitare che chi debba pedinare si senta a sua volta pedinato (Fantasmi); o, ancora, che ci sia qualcuno che s'immedesima a tal punto nella vita di un amico da sposarne la vedova e adottarne il figlio (La Stanza Chiusa).
Recensione
“Trilogia” implica che un libro sia diviso in tre “capitoli” di un'unica storia. Ma quando ti approcci a Trilogia di New York sembra che Paul Auster ti guidi in tre storie diverse, che sembrano non avere nulla a che fare l'una con l'altra, a parte il fatto che sono ambientate tutte e tre nella medesima città, New York, il medesimo nessun luogo in cui chiunque può ritrovarsi e perdersi all'infinito.
Lo sappiamo, ma non ci vogliamo credere, anche se i pezzi vanno piano piano a incastrarsi, vogliamo continuare a pensare che non ci sia un filo rosso tra le tre storie. Questo finché Paul Auster non ce lo sbatte in faccia, che sono anche tre storie che, in un modo o nell'altro, parlano anche di lui.
Sono tre detective-stories, ma la storia è una sola. Ed tutto così eccentrico e avvincente che, nonostante la seconda storia non abbia la classica divisione in capitoli, ti tiene incollato al libro. Vuoi saperne di più, sempre di più, anche se più vai avanti più ti senti confuso.
Valutazione
★★★★★ 5/5
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SHHH!!
Silenzio mi voglio rilassare..
Esiste un luogo che potrebbe farvi ricredere sugli effetti terapeutici del silenzio assoluto: si tratta della stanza anecoica degli Orfield Laboratories, in Minnesota, che nel 2008 è entrata del Guinness dei Primati con il titolo di luogo più silenzioso al mondo.
L’idea di passarci un po’ di tempo potrebbe sembrare rilassante, ma non lasciatevi ingannare: nessuno è mai riuscito a rimanerci per più di 45 minuti. Il motivo?
La stanza anecoica è talmente silenziosa che può portare alla follia in meno di un’ora.
La stanza del silenzio è composta da due camere costruite l’una nell’altra, realizzate con materiali fonoassorbenti e fonoisolanti che hanno la capacità di assorbire i suoni al 99%.
La camera più interna è isolata da uno strato in fibra di vetro spesso 1 metro e le sue pareti sono rivestite da una tappezzeria in schiuma sintetica.
Anche il pavimento è a prova di rumore tanto che camminandoci sopra tende a cedere leggermente in modo da attutire eventuali vibrazioni o fruscii.
Perché è impossibile resistere al suo interno?
Chi si trova nella stanza anecoica (che, come suggerisce il nome, non produce eco) diventa l’unica fonte di rumore; inizia a percepire il suono dei propri organi, il sangue che scorre nelle vene, il battito cardiaco, il gorgogliare dello stomaco. In pratica, vive un’esperienza extrasensoriale capace di far perdere sia l’equilibrio fisico che psichico.
Steve Orfield, il responsabile della struttura, spiega che a luci spente si sperimenta uno stato di deprivazione sensoriale totale che poco a poco fa perdere al cervello ogni riferimento. Per orientarci infatti noi usiamo anche i suoni, che ci forniscono equilibrio e facilitano i movimenti: la loro assenza produce un disorientamento tale da indurre claustrofobia, vomito, attacchi di panico e allucinazioni.
È quasi d’obbligo inoltre rimanere seduti, perché nella stanza stare in piedi e camminare diventa pressoché impossibile.
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Oh, se tu potessi ritornare,
ti mostrerei le sette lune che si vedono
dalla finestra della mia stanza.
E i sette soli, se ci volessi passare una notte ancora.
Niente di ciò ti rivelai prima,
perché erano segreti miei – e io, i segreti, li custodisco finché diventa troppo tardi per raccontarli.
Oh, se tu potessi ritornare, ti porterei a vedere il giardino,
dietro casa, dove c’è un nespolo che è solo mio
e alla cui ombra potremmo leggere d’estate, se l’estate venisse e tu volessi passarla solo con me.
E anche il lucernario,
sul tetto, senza un vetro da dove, a volte, cadono le stelle; e tanto piccole che si perdono negli occhi
di chi si pone così, a guardarle, senza sapere da dove vengono –
dicono che sono gli angeli che le lanciano adagio per riscaldare le notti.
Forse ti mostrerei anche gli angeli se tu ritornassi.
Maria do Rosário Pedreira
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Grazie @hope-now-and-live per il tag
La mia casa dei sogni uhmm ho delle idee e sono quelle idee che per un motivo o per un altro non posso effettivamente realizzare nella mia casetta
Iniziamo dall'esterno vorrei che sul davanti ci fossero due pozzetti di terra dove piantare solo girasoli, mentre sul retro della casa un pozzetto lungo di terra usato come orto per coltivare le fragole, un po' come lo aveva mio nonno dietro casa...
Per quanto riguarda la tinta della casa va bene quella che ho ovvero una sfumatura di rosa accesa per l'esterno e per l'interno il bianco, anche se in alcune stanze avrei osato con qualche sfumatura tipo nella mia cameretta sull'arancio o fucsia non so, ma la rendo colorata con gli oggetti quindi va bene anche il bianco sulle pareti, solo in una stanza però e solo su una parete mi piacerebbe avere una serie di listelli in legno colorati come macchie di vernice, li avevo visti anni fa in un negozio ma non li ha più, quindi non ho nemmeno quella foto di preciso ma qualcosa che potrebbe comunque andare bene per la mia stanza degli hobby
La stanza degli hobby me la immagino un po' così
E con un lucernario che mi permette una vista cielo mozzafiato soprattutto di notte dove magari infilerei un telescopio per osservare le stelle ✨
E infine una stanza libreria così ma con gli sportelli in vetro per dare quel senso di vedo non vedo sui libri contenuti e la zona relax con i cuscini e la vista sull'esterno proprio come quella nella foto e con in sottofondo una melodia che proviene da un giradischi posizionato lì vicino 🎶
Sogna ragazza sogna XD
Taggo:
@laragazza-dalcuore-infranto-blog
@millilps
Fateci sognare con le vostre case da sogno 😊🏡
#pensieri per la testa#persa tra i miei pensieri#fotografia#immagini dal web#casa dei sogni#giochini Tumblr#sognare#sogni#casetta#idee#giuro non sono architetto
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Bella risposta ai gretini
Alla cassa di un supermercato una signora anziana sceglie un sacchetto di plastica per metterci i suoi acquisti.
La cassiera le rimprovera di non adeguarsi all’ecologia e gli dice:
“La tua generazione non comprende semplicemente il movimento ecologico. Noi giovani stiamo pagando per la vecchia generazione che ha sprecato tutte le risorse! “
La vecchietta si scusa con la cassiera e spiega:
“Mi dispiace, non c’era nessun movimento ecologista al mio tempo.”
Mentre lei lascia la cassa, affranta, la cassiera aggiunge:
” Sono persone come voi che hanno rovinato tutte le risorse a nostre spese. E ‘ vero, non si faceva assolutamente caso alla protezione dell’ambiente nel tuo tempo.”
Allora, un pò arrabbiata, la vecchia signora fa osservare che all’epoca restituivamo le bottiglie di vetro registrate al negozio. Il negozio le rimandava in fabbrica per essere lavate, sterilizzate e utilizzate nuovamente: le bottiglie erano riciclate. La carta e i sacchetti di carta si usavano più volte e quando erano ormai inutilizzabili si usavano per accendere il fuoco. Non c’era il “residuo” e l’umido si dava da mangiare agli animali.
Ma noi non conoscevamo il movimento ecologista.
E poi aggiunge:
“Ai miei tempi salivamo le scale a piedi: non avevamo le scale mobili e pochi ascensori.
Non si usava l’auto ogni volta che bisognava muoversi di due strade: camminavamo fino al negozio all’angolo.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Non si conoscevano i pannolini usa e getta: si lavavano i pannolini dei neonati.
Facevamo asciugare i vestiti fuori su una corda.
Avevamo una sveglia che caricavamo la sera.
In cucina, ci si attivava per preparare i pasti; non si disponeva di tutti questi aggeggi elettrici specializzati per preparare tutto senza sforzi e che mangiano tutti i watt che Enel produce.
Quando si imballavano degli elementi fragili da inviare per posta, si usava come imbottitura della carta da giornale o dalla ovatta, in scatole già usate, non bolle di polistirolo o di plastica.
Non avevamo i tosaerba a benzina o trattori: si usava l’olio di gomito per falciare il prato.
Lavoravamo fisicamente; non avevamo bisogno di andare in una palestra per correre sul tapis roulant che funzionano con l’elettricità.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Bevevamo l’acqua alla fontana quando avevamo sete.
Non avevamo tazze o bottiglie di plastica da gettare.
Si riempivano le penne in una bottiglia d’inchiostro invece di comprare una nuova penna ogni volta.
Rimpiazzavamo le lame di rasoio invece di gettare il rasoio intero dopo alcuni usi.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Le persone prendevano il bus, la metro, il treno e i bambini si recavano a scuola in bicicletta o a piedi invece di usare la macchina di famiglia con la mamma come un servizio di taxi 24 h su 24. Bambini tenevano lo stesso astuccio per diversi anni, i quaderni continuavano da un anno all’altro, le matite, gomme temperamatite e altri accessori duravano fintanto che potevano, non un astuccio tutti gli anni e dei quaderni gettati a fine giugno, nuovi: matite e gomme con un nuovo slogan ad ogni occasione.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ecologista!
C’era solo una presa di corrente per stanza, e non una serie multipresa per alimentare tutta la panoplia degli accessori elettrici indispensabili ai giovani di oggi.
Allora non farmi arrabbiare col tuo movimento ecologista!
Tutto quello che si lamenta, è di non aver avuto abbastanza presto la pillola, per evitare di generare la generazione di giovani idioti come voi, che si immagina di aver inventato tutto, a cominciare dal lavoro, che non sanno scrivere 10 linee senza fare 20 errori di ortografia, che non hanno mai aperto un libro oltre che dei fumetti, che non sanno chi ha scritto il bolero di Ravel…( che pensano sia un grande sarto), che non sanno dove passa il Danubio quando proponi loro la scelta tra Vienna o Atene, ecc.
Ma che credono comunque poter dare lezioni agli altri, dall’alto della loro ignoranza!
Fonte: blog decideilpopolo.it
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“skater at sunset” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Il sole stava già iniziando la sua lenta discesa dietro gli edifici di mattoni rossi e intonaco che costellavano il centro della città. Una luce dorata tingeva il cielo, facendo brillare le finestre dei grattacieli come pezzi di vetro spezzato. Jack, un uomo di mezza età dalle spalle curve e dallo sguardo stanco, si trascinava lungo le strade trafficate, cercando di raggiungere casa dopo una giornata di lavoro che sembrava non avere mai fine.
Mentre si avvicinava al suo appartamento, passò davanti a un negozio di dischi di seconda mano che aveva sempre ignorato. Qualcosa, quella sera, attirò la sua attenzione. Una copertina sgargiante spiccava tra gli svariati album impolverati esposti nella vetrina. Era un disco di qualche band indie locale, ma ciò che catturò l'occhio di Jack fu l'immagine sulla copertina.
Al tramonto, su una pista da skate, in quella che sembra una città europea, uno skater si muoveva fluido con la sua tavola sotto i piedi. La silhouette nera del ragazzo si stagliava contro il cielo dai colori invecchiati dal passaggio del tempo. Il movimento della tavola da skate e del ragazzo disegnavano un'ombra allungata sulle piastrelle di cemento. Era un momento intrappolato nel tempo, un istante di pura grazia e abilità, catturato in una frazione di secondo.
Senza pensarci due volte, Jack varcò la soglia del negozio e chiese al commesso dietro al bancone di vendergli quel disco. Il giovane commesso, con una pettinatura alla moda e un paio di occhiali da sole sul naso, gli sorrise e accettò di buon grado la sua richiesta.
Tornato a casa, Jack mise il vinile sul giradischi polveroso che aveva ereditato da suo padre. Il suono scricchiolante della puntina che si posava delicatamente sulla traccia iniziò a riempire la stanza. Le note di chitarra si diffusero nell'aria, e Jack si ritrovò avvolto dalla melodia malinconica.
Chiuse gli occhi e si immaginò sul bordo di quella pista, al tramonto, mentre uno skater sconosciuto danzava con il pavimento in un perfetto equilibrio tra gravità e libertà. Sentì la brezza tiepida sulla pelle, assaporò la sensazione di libertà che solo uno skate e una strada deserta possono offrire.
La musica continuava a suonare, e Jack si lasciò trasportare in quel mondo di movimenti eleganti e sfide audaci. Quella copertina diventò per lui un portale, un ricordo che sfuggiva alle mani ma che, grazie alla musica, poteva rivivere ogni volta che lo desiderava. E così, nella sua solitudine quotidiana, trovò un rifugio in un tramonto urbano immortalato su una copertina di vinile.
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..Nella stanza del motel
quella notte, alle prime luci dell’alba,
scostò una tendina alla finestra. Vide nubi
ammucchiate contro la luna. S’appoggiò
al vetro. C’era uno spiffero freddo
che gli toccò il cuore.
Ti amavo, pensò.
Ti amavo tanto.
Prima di non amarti più.
Raymond Carver, da Blu Oltremare
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La condanna
Un tempo avevo solo cinque anni Seduta sul lettone la mia mamma mi intrecciava i capelli In quella che era una teca di vetro Fatta di finta felicità e spensieratezza. Poi venne il tuo sguardo maligno Dal più remoto degli angoli bui La tua oscurità si fece lentamente spazio Nel silenzio della stanza. Tutto si confonde nella mia mente, Urla di terrore si mescolano con le lacrime Le tue mani le toccano il viso, Ma non sono carezze, non è amore È la mera crudeltà di un uomo piccolo Che distrugge tutto ciò che osa guardare. Solo allora il mondo si ferma Inerme guardo la macabra scena, Qualcuno cerca di portarmi via invano e Mamma piange, mamma ha il volto sfigurato, Mamma ha l'anima che sta cadendo a pezzi davanti a me, Tu chiedi scusa in ginocchio ed io Prego ad occhi chiusi Eppure per quanto io possa urlare, nessuno mi risponde.
Poi come in un sogno la scena cambia Tu vai via ed io respiro di sollievo, Ma ho solo cinque anni E tra le mani il peso di una vita che non vuole incominciare Sulle spalle la pesante consapevolezza Che per sempre dovrò fuggire da te. Quando torni mesi dopo, Coloro che mi dovevano proteggere annuiscono omertosi I loro occhi sono buchi neri, Sorridenti mi consegnano a te Firmando la mia condanna a morte. Ma io ho solo vent'anni, Sono in ginocchio che prego Davanti all'altare di un dio che non risponde Gli chiedo invano quanto gli sia stato facile assolvere Te ed i tuoi sporchi peccati Mentre davanti al mio sguardo Ha saputo solo voltarsi dall'altra parte.
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04/06/2024
Pioggia sottile,
sul vetro appannato,
scivola lenta
come lacrime segrete.
Dolore muto,
nella stanza vuota,
il cuore si spezza
in un lamento sommesso.
Gocce incessanti,
ricordi spezzati,
il tempo si ferma
nel grigio del cielo.
E in questa pioggia,
riflesso del mio pianto,
trovo un frammento
di eternità ferita.
#diario personale#malinconia#sentimenti#solitudine#tristezza#dolore#amore#amore perduto#paura#poesia#pioggia#tempesta#temporale#nuvole#inquietudine
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Parlando con una persona, mi sono ritrovato a percepire quel calore che non sentivo da quando ero ragazzino, come se qualcosa di familiare e quasi dimenticato fosse riemerso. C'era un calore in quella stanza che non mi apparteneva. Le risate si intrecciavano con il suono dei piatti, un'armonia così naturale che sembrava quasi irreale. Seduto al tavolo di quella cucina di un mio amico e osservavo quei volti animati, ogni gesto così semplice e familiare, come una danza che io non avevo mai imparato.
Parlavano tra loro con una leggerezza che mi sembrava incredibile, come se ogni parola fosse accolta senza timore di essere fraintesa o respinta. Ero lì, fisicamente presente, ma dentro di me mi sentivo distante, come se un vetro sottile mi separasse da quella scena.
"È questo ciò che si prova?" mi chiesi, mentre una risata esplodeva dall'altra parte del tavolo. Mi sentivo un'intruso, un'osservatore in un mondo che non mi apparteneva. Il calore di quella famiglia era tangibile, come un abbraccio che potevi sentire anche senza essere toccato. Non era invidia, no. Non c'era rabbia o desiderio bruciante, solo un vuoto dolceamaro che mi si era posato sul petto. Mi sentivo fuori posto, come un viaggiatore che si ritrova a contemplare un paesaggio bellissimo ma straniero, incapace di chiamarlo casa.
Era una sensazione difficile da afferrare, come un'ombra che sfugge appena ti giri. Una tristezza delicata, quasi impercettibile, mischiata a un senso di stupore. Mi rendevo conto che quel calore, quella connessione, erano reali per loro ma estranei a me.
E mentre fingevo sorrisi e rispondevo a battute, fingendo di far parte di quel mondo, dentro di me quella sensazione si faceva sempre più presente. Non mi lasciava, si aggrappava al petto come un peso silenzioso. Forse era il sapore del calore, un sapore che avevo solo sfiorato ma mai assaporato del tutto, ma rimase lì, immobile, fino a quando non me ne andai, portandola con me come un'ombra che non potevo scrollarmi di dosso.
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Poesia di https://www.tumblr.com/maripersempre-21
Scrivo "ti amo"
sul vetro appannato
mentre la neve scende piano
aldilà di questa finestra...
come una bimba
disegno un cuore...
il fuoco nel camino
riscalda la stanza,
il corpo,
ma non il cuore...
non basta la legna
che brucia scoppiettante
per scaldarmi dentro...
solo la tua presenza
può infiammare il mio cuore...
M.C.©
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Fan fiction sul personaggio di Alastor di Hazbin Hotel .
La storia inizia all'Inferno: attraverso una serie di flashback che si susseguono come interferenze radio nella mente di Alastor.
L'ho scritta per fare luce sul suo passato e sul perchè abbia perso il senno e sia finito all'inferno.
Radio Frequencies
Il pugno aveva mandato in frantumi lo specchio: mille schegge di vetro erano esplose sul pavimento. La pelle del guanto si era lacerata ed il sangue nerastro colava lungo la mano. Le tenebre della stanza permeavano ogni angolo, accalcate simili ad una folla soffocante. Sciolse la stretta della mano e ticchettò con la punta rossa delle dita guantate i profili in frantumi dello specchio ancora appeso alla parete.
Il dolore era piacere, amava vederlo pervadere le sue vittime poteva sentirlo, ma questa volta scivolava in lui lungo le nocche fino al braccio, la cosa lo contrariava: si chiese come poteva aver perso il controllo .
Si appoggiò alla parete con l'avambraccio, mentre con l'altra mano continuava ad accarezzare morbosamente quello che restava dello specchio: tamburellava lento poi frenetico, in modo incontrollato. Tra le schegge osservò il flash rosso sangue del suo sguardo, in quella tenebra nera come pece vacillava come un neon.
Sentì nuovamente quella fitta alla testa, come una sintonizzazione radio sovrapposta, un'interferenza direttamente sparata nel cervello, strinse i denti in un sorriso folle: non amava perdere il controllo del suo show.
La fitta alla testa divenne insopportabile, si piegò all'indietro fino a sfiorare il pavimento, strinse gli artigli alla testa, si sarebbe cavato il cervello dal cranio AH AH AH
Davanti agli occhi le interferenze sfarfallavano come onde radio multicolore, un carosello di immagini senza senso, stava perdendo la sua mente, dannazione, era come se qualcosa si stesse frammentando dentro la sua testa.
Spostò nuovamente lo sguardo verso il suo riflesso su una delle schegge dello specchio, la luce dei suoi occhi rossi dalla pupilla a valvola erano spariti.
Un'altro sfarfallio, un'altra interferenza e per un attimo un uomo dai capelli castani e gli occhiali gli rimandò lo sguardo dalla superficie riflettente.
"Tutto sotto controllo" si disse, aveva controllo su tutte le sue piccole pedine, sulle sue vittime, le sue adorate prede, era all'Inferno, era il suo territorio di caccia, ma in quel momento si senti disorientato e non era......piacevole.
Riportò alla memoria tutti i volti di chi aveva ucciso: il mortale nel riflesso non era nessuna delle sue vittime, nessuno dei demoni della sua lunga lista di "signori supremi".
Un'altra fitta, più intensa di quelle precedenti stavolta non avrebbe retto, le comunicazioni si interruppero definitivamente su brusio piatto
NO SIGNAL brrzt brzzt...
Quando il segnale radio si fu risintonizzato era in ginocchio sull'erba umida, sulle lenti degli occhiali crepate in più punti gocciolava del sangue rosso ( rosso?), il dolore era insopportabile, ma si cavò a forza in gola le urla e strinse i denti fino a sentirli stridere.
"Allora stronzetto con il pedigree, la mettiamo una bella firmetta?"
Due scagnozzi lo tenevano per le braccia mentre quello più grosso che lo aveva pestato fino a quel momento, gli sventolava davanti un foglio scritto a macchina ed una penna ad inchiostro.
Lo guardò da sotto gli occhiali con un misto di sufficienza e divertimento, il sangue gli annebbiava la vista con una velata nebbia solferina.
"Pretenzioso chiedere una firma da chi non sa neppure graffiare il foglio con una X" la ginocchiata allo stomaco arrivò senza preavviso, il fiato gli si spezzò in gola, ma non aspettò neppure di riprendersi del tutto dal colpo
" Il mio programma non è in vendita, non vi cederò i diritti! E' stato un vero piacere verbalizzare con voi Signori" la voce spezzata dalle percosse era roca ma sicura, non chiara e sensoriale come quando era alla radio.
Quello più grosso sbuffò con disappunto, ripose il foglio e la penna nella valigetta di pelle, si schiarì la voce in modo che potesse sentirlo chiaramente e si avvicinò minaccioso alla faccia del conduttore radiofonico
"Ascoltami bene, tu pensi di essere una star, ma l'unica cosa che sai fare è creare rogne a chi non dovresti"
lo prese per il colletto della camicia ed inizio a stringere
"A breve ci saranno le elezioni e tu sei una spina nel fianco"
strinse ancora, l'aria iniziava a passare a fatica attraverso l'esofago.
" Il tuo programma deve terminare o qualcuno ci lascerà le penne!"
Strinse ancora ed ancora: non riusciva neppure a deglutire, iniziò a tossire tentando di cacciare dentro un pò d'aria.
La trasmissione sfarfallò davanti ai suoi occhi, sentiva nelle orecchie il gracchiare delle frequenze, ci fu un altro black out.
Un brusio indistinto, un lungo fischio ed il suono esplose dolorosamente nelle sue orecchie, un nuovo canale si era sintonizzato: in lontananza c'erano fumo ed urla, la torre della stazione radio era in fiamme, i vigili del fuoco cercavano di spegnere l'incendio, ma pezzo dopo pezzo la struttura stava crollando.
Corse verso tutto ciò che aveva: il suo programma radiofonico, la sua verità per la società... Venne fermato da una stretta inopponibile: Husk lo teneva stretto per il braccio, lo guardava muto con un misto di rassegnazione e comprensione.
"Lasciami andare ubriacone da strapazzo!"
Husk lo guardò torvo:"Non c'è più niente da fare, ti ammazzerai se ti butti lì dentro"
"Tu non capisci, c'è tutto il mio lavoro lì dentro! Tutte le prove! Tutto!"
Ci fu un crepitio poi un lungo suono metallico, la torre venne giù franando tra le fiamme.
Gli occhi dorati del conduttore erano sgranati, completamente inespressivi, si afflosciò a terra, strinse la polvere della strada con le dita esili fino a farsi sanguinare le unghie.
Tutto il suo mondo era sprofondato.
Husk gli posò la giacca sulle spalle per nasconderlo alla vista dei curiosi che sembravano averlo riconosciuto e lo rimise in piedi.
Si allontanarono tenendosi a debita distanza dalla folla.
Teneva con entrambe le mani i lembi della giacca sulle spalle,gli occhiali ancora chiazzati di sangue dopo il pestaggio.
"Non è finita qui, non mi arrenderò! La verità verrà a galla, contano di avermi tappato la bocca, ma non mi fermerò. Ci starà giustizia, New Orlean merita di conoscere la verità su quel pezzo di merda. "
Riorganizzò i pensieri: avrebbe dovuto ricostruire il suo studio da zero, raccogliere nuovamente tutto il materiale delle indagini e realizzare tutto prima delle elezioni.
Stava per girarsi verso Husk, ma di colpo tutto divenne nero, il canale era saltato di nuovo, uno pezzo jazz gracchiava in sottofondo, poi silenzio, qualche brusio.......
Fu colpito da una luce bianca abbagliante ed era di nuovo in onda.
Gli occhi erano doloranti per la luce improvvisa, pian piano passarono dalla sfocatura a rendere nitidi i contorni dell'ambiente, cercò gli occhiali sul comodino, li infilò e si diede uno sguardo intorno: si trovava presumibilmente in un ricovero all'interno di un ospedale, altri lettini erano posti in sequenza per la stanza: lenzuola bianche e coperte verde tenue.
Aveva la testa che gli scoppiava, si guardò le mani: la pelle pallida e tirata delle dita gli suggerì che doveva essere ricoverato da un pò.
Chiuse gli occhi e si rimise a letto cercando di ricordare come si trovasse in quel luogo.
Sentì il personale dell'ospedale muoversi tra i ricoverati, poco distante la sua attenzione fu catturata da due infermiere che parlottavano tra loro bisbigliando:
"Davvero una tragedia"
"Io seguivo sempre il suo programma, riusciva a rapirti con le sue storie di cronaca" disse una delle due.
"Dopo l'incidente della torre radio, aveva ripreso il programma in un nuovo studio, si dice che abbia pestato i piedi a chi non doveva" confessò l'altra
"Certo! A quel farabutto che ha perso le elezioni, grazie al suo programma radiofonico lo hanno arrestato!"
"Ma ne è valsa la pena? La sua carriera è rovinata! Non potrà più condurre il programma alla radio" la voce dell'infermiera era amareggiata
"Cosa hanno detto i medici?"
"E' fortunato se potrà tornare a parlare, gli hanno bruciato la gola con l'acido" sussurrò l'altra tenendo il palmo della mano alzato accanto alla bocca in segno di confidenza.
Fu percorso da un brivido, lo shock lo aveva paralizzato: non parlavano di lui, non potevano, non poteva essere..
Provò a parlare, ma la gola era bloccata, si sforzò di urlare per richiamare l'attenzione dell'infermiera, ma nulla era completamente afono, riuscì ad emettere solo un sibilo rantolante.
Si tirò a sedere e si tastò la gola, appena le dita strinsero leggermente un dolore lancinante lo percorse.
Sentì montare la disperazione: la sua voce! Strinse i pugni, la rabbia stava esplodendo dentro di lui come non l'aveva mai sentita in vita sua, avrebbe voluto spaccare tutto.
Ogni cosa che aveva costruito in quegli anni: la sua carriera, la sua passione, il suo programma, erano tutta la sua vita!
Per la prima volta si sentì sprofondare in un baratro senza ritorno.
Lo sguardo sotto gli occhiali era febbricitante: neppure la crisi del 1929 lo aveva stroncato, ma adesso? Non gli restava più niente.
Il bicchiere sul comodino era così invitante, luccicava ai leggeri raggi del sole. non si accorse neppure di averlo preso, fu un istante ed il bicchiere era andò in frantumi, come la sua vita. Mentre stringeva le schegge nella mano rivide la sua stazione radio in fiamme, ripercorse tutte le difficoltà che aveva dovuto affrontare per mettere in piedi il suo programma, tutte le volte che avevano tentato di tappargli la bocca, il volto orgoglioso di sua madre quando aveva iniziato a lavorare in radio.
Le dita si mossero da sole lasciando scivolare via tutte le schegge di vetro, trattennero solo quella più lunga, il suo sguardo era piantato nel vuoto, le pupille strette in una fessura.
Il frammento di vetro si fece largo affondando nel sottile strato di pelle dell'avambraccio, poi più in profondità fino alla carne, come se non percepisse dolore, tagliuzzava freneticamente, il sangue schizzò ovunque, sulle lenzuola immacolate, sul profilo metallico del letto.
Urla lontane lo raggiunsero, era tutto ovattato nella sua testa, qualcuno prese a scuoterlo per le spalle, una mano stava provando a togliergli il frammento di vetro dalla mano.
Davanti ai suoi occhi un'infermiera terrorizzata gli gridava qualcosa, non riusciva a capirla, accorsero i medici, i volti contratti dalla preoccupazione tenevano in mano delle cinghie di cuoio ed una siringa.
L'infermiera si era allontanata, aveva il volto e le mani sporche di sangue e continuava ad urlare. I medici lo bloccarono, uno di loro si avvicinò al suo collo tenendo la siringa: non sentì nulla, non sentiva più niente già da un pò..
Lo legarono al letto con le cinghie, le guardò strette al suo corpo e lungo le braccia, lo sguardo si posò sugli avambracci:erano un miscuglio indistinto di sangue e carne.
Si chiese di chi fossero quelle braccia...
Poi il ronzio disturbato di una comunicazione radio si frappose tra i suoi pensieri, le frequenze saltarono nuovamente in un brusio frastornante, le tenebre erano un sudario, in quel vuoto sinistro si fecero largo due occhi rossi come l'inferno, erano due fanali inquietanti che lo scrutavano e sorridevano
Li vide per un breve istante, poi sparirono, qualche distorsione radio e la trasmissione riprese, era nuovamente ON AIR.
Si lasciò cadere con slancio sulla sedia facendola girare su se stessa per spostarsi alla console, fece scivolare le agili dita sulla valvola del volume e con l'indice slittò la levetta della diretta verso l'alto, strinse tra le mani il microfono a condensatore: un gentile omaggio della Bell Labs in anteprima, non molti studi potevano vantarne uno, ma nulla gli era precluso, non più...
Accarezzò il microfono con eleganza e lasciò scivolare la voce al suo interno
" Salve carissimi per il vostro intrattenimento è un piacere ritrovarvi qui all'Hazbin Show" il timbro era caldo ed inebriante, si perse nel suo suono, le belle parole fluivano. Aveva un indice di ascolti come non se n'era mai visto a New Orleans, il format era assoluto e non lasciava spazio ad altri concorrenti, ma non era solo questo, da quando dopo un brutto incidente aveva perso la voce per alcuni anni il famoso conduttore era sparito dalla piazza, ma tre anni dopo era misteriosamente riapparso dal nulla, con la sua voce inconfondibile che appassionava alla cronaca gentiluomini e faceva sospirare le signore. Ma c'era qualcosa di più chi lo ascoltava restava ipnotizzato dal suo timbro, quella tonalità resa leggermente bassa aveva assunto una sfumatura sinistra ed irriverente, consciamente nessuno ci aveva fatto caso e gli ascoltatori venivano irretiti come da un incantesimo, sedotti e legati al suo programma radiofonico. In città il tasso di omicidi era spaventosamente aumentato e la trasmissione era schizzata alle stelle.
Si alzò dalla sedia tenendo tra le mani il microfono da postazione, arrotolò il cavo di alimentazione attorno all'indice
"Oggi voglio solleticare la vostra attenzione con un nuovo caso"
danzò nello studio con rapidi passi di swing facendosi largo tra i cadaveri sul pavimento.
"C'è un nuovo assassino in città"
con un passetto di danza qua ed uno là fece attenzione a non macchiare le derby col sangue, saltellò oltre le braccia senza vita di una vittima.
"Sembra proprio che le autorità non sappiano che pesci prendere! Ahi Ahi molto male, abbiamo un cannibale e pluriomicida a piede libero, la polizia dovrebbe impegnarsi seriamente" canzonò sorridendo da un orecchio all'altro inclinandosi sul microfono.
Normalmente un programma radiofonico del genere sarebbe stato chiuso: deliberatamente provocatorio verso il potere costituito e alle prese con tematiche scomode di cronaca nera trattate con tanta disinvoltura, eppure il pubblico nel momento stesso in cui accendeva la radio era come rapito, l'oscuro umorismo del conduttore era diventato il suo marchio di fabbrica e per qualche oscura ragione il pubblico lo adorava.
La sintonizzazione iniziò a vacillare, il suo campo visivo fu interrotto nuovamente da onde radio orizzontali ad intermittenza, le frequenze sfrigolavano nel suo cervello in modo insopportabile: la trasmissione si stava rimodulando fino a stabilizzarsi sul suo ultimo canale.
Quando si riprese aveva le braccia immerse fino ai gomiti nel sangue: la vasca ne era piena , il tanfo alcalino dei liquidi organici era nauseante.
Alle sue spalle incombeva un'ombra tremolante: era in attesa, un'attesa famelica e malata, i suoi occhi scarlatti come fanali lo fissavano con impazienza, come un predatore fissa la sua preda messa all'angolo:
"Oh Caro, è il momento di concludere il nostro patto" il tono era mellifluo ed inquietante.
Quella presenza era Male puro, il conduttore non sapeva come era arrivato a quel punto, ma iniziava a capire: aveva stretto un accordo con quell'Ombra, l'aveva vista sgusciare dalla sua mente quel giorno in ospedale, tra le crepe della disperazione e della rabbia, lo scrutava con quei suoi occhi sulfurei. Poi un giorno aveva parlato: "un patto lo chiamava", la sua anima in cambio di tutto ciò che aveva perso ed il potere di piegare l'attenzione del pubblico a suo piacimento.
Pensò che era diventato pazzo a parlare con un ombra partorita dalla sua mente, ma avrebbe barattato qualunque cosa pur di vendicarsi per ciò che gli avevano tolto e riavere la sua voce, strinse l'accordo senza pensarci due volte.
Non avrebbe mai immaginato cosa poteva comportare: un piccolo passo alla volta quella voce oscura si insinuò nei suoi pensieri, l'ombra aveva fame e non bastava mai: all'inizio erano piccole stranezze come ridere davanti ad una sciagura altrui o mangiare carne cruda, ma poi le cose cominciarono a sfuggire al suo controllo quando iniziò a desiderare di infliggere dolore agli altri e nutrirsene. Più di una volta il pensiero di uccidere chi casualmente lo intralciava lo aveva sedotto, si era sempre trattenuto, ma stava perdendo man mano il controllo scivolando in quel baratro nel quale si era cacciato da solo.
Ed ora si trovava lì, non ricordava come ci era arrivato e cosa stava facendo davanti a quella vasca.
L'Entità doveva aver percepito il suo disorientamento, alle sue spalle sentì la sua presenza sovrastarlo gli enormi occhi cremisi si avvicinarono al suo orecchio:
"La parte della donzella disorientata non ti si addice " sussurrò divertito
"Hai fatto un ottimo lavoro, adesso mangia"
Senza che potesse rendersene conto le braccia si mossero da sole tremando, emersero dal pantano di sangue rivelando il coltello che aveva nella mano.
Cosa aveva fatto?
La mano prese a tremargli, la presa vacillò e si allentò, il coltello cadde nuovamente nella polla rossa.
Il conduttore radiofonico alzò lo sguardo sulla sua vittima: capelli corvini, una donna ormai matura ma dai lineamenti raffinati.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime
"Non posso" la voce era inudibile e gracchiante, l'acido l'aveva resa irriconoscibile.
"A questo punto credo tu non abbia scelta" canticchiò l'Ombra scoprendo un sorriso affilato.
Mosse una mano fatta di tenebra e nell'aria apparvero dei vèvè* incandescenti: dal nulla una catena della stessa energia si strinse al collo ed ai polsi dello speaker.
Ci fu un breve silenzio i simboli galleggiavano a mezz'aria nell'oscurità, il senso di oppressione era palpabile, i fanali scarlatti dell' Ombra si spalancarono pronti a divorare la loro preda:
"ED ORA MANGIA!"
Quelle catene impalpabili lo tenevano soggiogato, erano terribilmente pesanti, provò ad opporsi con tutte le forze che aveva in corpo, ma oramai non aveva più controllo sui suoi movimenti.
Da dietro gli occhiali mise a fuoco il viso della vittima che giaceva nella vasca, sgranò gli occhi in preda al terrore: davanti a lui sua madre era ormai priva di vita.
La sua sanità mentale andò in pezzi: l'unico affetto che aveva mai avuto, la sua famiglia, l'unica che nel 29 nonostante la crisi aveva creduto nel suo progetto alla radio.
Il viso della donna era coperto di capelli, il corpo esangue giaceva in una posa scomposta all'interno della vasca di porcellana.
Il giogo a cui era incatenato gli sollevò la mano, il sangue colò lungo i bordi bianchi della vasca rigandola di rosso.
Avvicinò il palmo al petto di sua madre, leggermente a sinistra: lentamente le dita si fecero largo con le unghie nella carne attraverso lo squarcio che aveva aperto con il coltello, in profondità, fino a stringerle il cuore.
La sua mente collassò
Le lacrime bruciavano.
Urlò ma le corde vocali ormai bruciate non risposero.
La mano si strinse e tirò forte, si sentì un rumore viscido e sordo di ossa frantumate, avvicinò alle labbra il cuore di sua madre.
Vide quella scena come proiettata lentamente su una pellicola in bianco e nero, come se fosse lo spettatore di quell'orrore. Doveva vomitare, scappare, abbracciare sua madre e rimettere tutto a posto.
Sentì i denti affondare nella carne cruda, umida, il sapore ferroso del sangue si appiccicava alla lingua.
Provò un conato di vomito.
Poi si ritrovò a leccarsi le dita con gusto.
L'ultima parte sana della sua anima urlò. Era andata
Le urla arrivarono alla gola, questa volta spinse fuori tutto il suo dolore, erano così strazianti e forti che gli squassarono il petto.
"Ora il patto è concluso, goditi la tua voce e.... tutto il resto"
l'Ombra fece un gesto plateale verso il macabro banchetto che stava consumando e poi svanì alle sue spalle schioccando le dita.
Adesso erano una cosa sola.
Alastor alzò la mano viscida di sangue e si accomodò gli occhiali sul naso, un bagliore rosso balenò nei suoi occhi, il suo viso era piegato in un sorriso innaturale.
" Non si è mai completamente vestiti senza un sorriso"
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Sentire un tic tac che sovrasta il silenzio nella confusione intorno, un vociare assordante in cui nessuno si rivolge a me, un continuo transito attraverso ciechi che non mi vedono passare, mi osservano. Una stanza di specchi in cui io mi rifletto sola e mi guardo. Non mi arriva la luce degli occhi ma il corpo in cambiamento di una donna che sta per varcare una soglia tra giovinezza e vecchiaia, me lo dicono i segni intorno agli occhi che tanto hanno guardato. Potrei scrivere un haiku e con poche parole descrivere il nulla, ma il nulla è pieno, morbido al tatto e adattabile a tutte le frasi. Il nulla circonda questo spazio che sono io, lo rende chiaro ma opaco , vuoto ma pieno, come una condensa che mi accompagna, fuliggine sopra al mio vetro che non osa brillare. Ho lanciato un grido ma non sono riuscita a emettere suoni. La bocca asciutta, assaggio cibi ma non arriva il gusto, scivola via il sapore, un rigagnolo di abitudini.
Intorpidita, ho provato a rilassarmi muovendomi in questa realtà ovattata e senza suoni dove scorrono le parole scritte o arrivano i vocali di persone che non ti telefonano più.
Pronto
Chi sei
Dove sei
Cosa posso dirti di me ?
Una garza per ogni giorno di dolore
Un sorriso per ogni occasione perduta
Apro il cuore, lo dono, sono sempre stata generosa amando più gli altri di me stessa ma con la potente formula dell’autocritica in cui so perfettamente quando sto sbagliando , e con chi.
Attratta dagli inganni colleziono vuoti a perdere , ho una collezione di bottiglie vuote che non ho neanche bevuto. Il liquido si è cristallizzato nel tempo trascorso durante il mio tic tac tic tac e la vita intanto va, scorre, porta via i crampi alle mani, la schiena costretta alle fatiche, le lacrime nascoste.
E questo tic tac porta via anche me, mi allontana dallo specchio per non vedere più cosa o chi sono diventata, senza le mie farfalle zingare nei cieli distanti non so più riconoscere in cosa mi sono trasformata.
Tatiana Andena
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Norman Mailer accoltella la moglie che lo accusava di non saper scrivere come Dostoevskij al grido di “Lasciatela morire, quella puttana!”, ed altre imprese del grande scrittore
Il 19 novembre 1960 Norman Mailer (nato Nachem Malech Mailer), all’epoca lanciatissima “giovane promessa” dell’intellighenzia americana, in particolare per il suo saggio di pochi anni prima The White Negro, con il quale trasformava il teppismo bohémien dei giovani bianchi annoiati in una sottocultura rivoluzionaria, decise di dare un ricevimento per lanciare la sua candidatura a sindaco di New York, nell’appartamento dell’Upper West Side che condivideva con la moglie Adele Morales (artista e critica letteraria di origine peruviana) e le due figlie.
Fresco di arresto per oltraggio a pubblico ufficiale (aveva cercato di fermare un’auto della polizia come se fosse un taxi) Mailer aveva fatto di tutto per assicurare il sostegno dell’establishment progressista della città a una “struttura di potere” che avrebbe portato avanti le battaglie delle minoranze (tra le quali, per l’appunto, i “negri bianchi” che tanto gli stavano a cuore): una commistione, quella tra élite e rivoluzionari, che rappresenta alla perfezione l’anima della sinistra occidentale sin dagli esordi.
Nonostante la defezione di qualche “filantropo” come David Rockefeller, al party di Mailer convogliarono circa 200 ospiti, tra i quali Allen Ginsberg, Norman Podhoretz (in seguitò uno dei principali rappresentanti del neoconservatorismo bushiano) e una masnada di “derelitti, tagliagole e bohémien” che lo scrittore aveva raccattato letteralmente dalla strada.
Dopo aver bevuto tutto il bevibile, l’enfant prodige della controcultura americana cominciò a litigare con gli ospiti, obbligandoli a mettersi ai lati opposti della stanza a seconda se fossero a favore o contro la sua candidatura, per poi scendere direttamente in strada a prendere a pugni i passanti.
Alle quattro di notte passate, una volta tornato nel suo appartamento con la camicia strappata e un occhio nero, e constatato che tutti gli invitati se ne fossero andati (ad eccezione di 5-6 persone), Mailer se la prese con la moglie, probabilmente anche lei alticcia, la quale lo aveva apostrofato con un Aja toro, aja! per poi chiamarlo “frocetto” [little faggot] e insinuare che la “lurida puttana della sua amante” gli avesse tagliato i cojones (sic).
Secondo altri testimoni, la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbe stata l’affermazione da parte della Morales che il marito non fosse bravo a scrivere come Dostoesvkij. Fatto sta che a un certo punto Mailer estrasse un temperino arrugginito dalla tasca e colpì la consorte alla schiena e al seno, perforandole il pericardio e mancando di pochissimo il cuore.
Ai presenti, scioccati per l’accaduto, Mailer intimò di “lasciar morire quella cagna” (o “quella puttana”, Let the bitch die). La donna venne prima condotta nell’appartamento al piano inferiore e poi all’ospedale universitario per un intervento d’urgenza.
Seppur in gravi condizioni, la Morales inizialmente disse ai medici di essere caduta su dei pezzi di vetro, ma due giorni dopo confessò alla polizia che era stato Mailer ad aggredirla; nel frattempo lo scrittore aveva fatto in tempo a rilasciare un’intervista televisiva al giornalista Mike Wallace, già programmata per promuovere la sua candidatura a sindaco, nella quale aveva sostenuto un’idea a lui particolarmente cara, cioè che il coltello rappresentasse per un criminale “la sua parola d’onore, la sua mascolinità”.
Quando la Morales ammise di esser stata colpita da Mailer, lo scrittore che in quel momento si trovava in ospedale venne subito arrestato. In seguito venne ricoverato per un paio di settimane in un istituto psichiatrico per una valutazione della sua sanità mentale, nonostante lo scrittore avesse implorato di non essere mandato con i pazzi poiché altrimenti “per il resto della mia vita le mie opere saranno considerate come frutto di una mente malata”.
A salvare la sua carriera, oltre che la clemenza dei giudici e la connivenza del milieu culturale newyorchese, fu probabilmente decisiva la scelta di Adele Morales di non sporgere denuncia in cambio del divorzio (ottenuto nel 1962). Mailer ne uscì praticamente indenne, e non solo dalla prospettiva penale, dal momento che i suoi amici “serrarono i ranghi” in sua difesa: il collega scrittore James Baldwin descrisse la sua “impresa” come un tentativo di liberarsi dalla “prigione spirituale che aveva creato con le sue fantasie politiche”, mentre il critico Lionel Trilling derubricò l’accaduto a “stratagemma dostoevskiano” messo in scena dallo stimato scrittore per “testare i limiti del male in se stesso”.
Qualche voce critica si sollevò dal fronte femminista: per esempio la scrittrice Kate Millett, proprio alla luce della violenza sulla moglie, tacciò l’intera opera di Mailer di legittimare il “sistema patriarcale”; tuttavia, quando Mailer si ricandidò a sindaco di New York nel 1969, le ideologhe Bella Abzug e Gloria Steinem lo sostennero con convinzione.
Le prime accuse di un certo rilievo sono giunte in tempi recenti, sia sulla scia delle memorie di Adele Morales (The Last Party, pubblicato nel 1997), sia con l’ascesa della cancel culture. Persino il “manifesto” di Mailer, The White Negro, è stato ridotto a espressione di esistenzialismo macho, ispirato a una concezione del maschile (anche in termini di aggressività e violenza) intrinsecamente positiva in quanto legato alla realtà e all’azione, e di conseguenza superiore al femminile, di contro schierato con l’artificiosità e il vaniloquio.
D’altro canto, per corroborare la sua candidatura a sindaco, Mailer abbozzò una lettera aperta a Fidel Castro nel quale biasimava che, a differenza di Cuba, negli Stati Uniti “troppi pochi colpi vengono sferrati alla carne. Qui siamo esperti nell’uccidere lo spirito, usiamo proiettili psichici e ci uccidiamo vicendevolmente cellula per cellula”. Se è probabile che annoverasse se stesso, in quanto intellettuale, tra i “carnefici dell’anima”, di certo ne includeva la compagna, le cui frecciate aveva definito come “una sequela di pugnalate psichiche” [psychic stabbings].
La mania per un certo tipo di mascolinità, declinata sempre in chiave progressista, emerge anche da uno dei punti più importanti del suo programma, con cui lo scrittore annunciava l’organizzazione di tornei cavallereschi in stile medievale a Central Park e corse di cavalli a Little Italy per contrastare la delinquenza giovanile.
Ad ogni modo, un parallelo più interessante è con il romanzo scritto dopo l’accoltellamento, Un sogno americano (1965) che racconta di uno stimato intellettuale e politico, Stephen Rojack, il quale in preda ai fumi dell’alcol uccide la moglie e poi si rifugia nei bassifondi di Manhattan dove, tra jazz club e puttane, scopre il valore liberatorio della violenza. Va osservato che al processo per l’accoltellamento della Morales l’avvocato di Mailer sostenne che il suo assistito avrebbe potuto “dare un contributo alla società” con il suo nuovo libro, che era appunto l’elogio letterario del suo gesto An American Dream…
.....
storia di fama, compagne, paraocchi e opportunismo...:-)
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Il paradiso sui tetti
Sarà un giorno tranquillo, di luce fredda
come il sole che nasce o che muore, e il vetro
chiuderà l’aria sudicia fuori del cielo.
Ci si sveglia un mattino, una volta per sempre,
nel tepore dell’ultimo sonno: l’ombra
sarà come il tepore. Empirà la stanza
per la grande finestra un cielo piú grande.
Dalla scala salita un giorno per sempre
non verranno piú voci, né visi morti.
Non sarà necessario lasciare il letto.
Solo l’alba entrerà nella stanza vuota.
Basterà la finestra a vestire ogni cosa
di un chiarore tranquillo, quasi una luce.
Poserà un’ombra scarna sul volto supino.
I ricordi saranno dei grumi d’ombra
appiattati cosí come vecchia brace
nel camino. Il ricordo sarà la vampa
che ancor ieri mordeva negli occhi spenti.
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